martedì 14 febbraio 2012

DiCinema: la nuova Hollywood


Un viaggio nello star system mondiale, per conoscere gli attori e i registi che hanno rinnovato l’ultima generazione di miti in celluloide

Uno dei Sex Symbol più acclamati dell’ultima generazione, nel camaleontico fascino del degno erede di Robert Redford, Brad Pitt.

Tanti aspiranti giovani attori hanno sfidato la sorte, cimentandosi all’ombra del “Gigante”, troppo breve per poter elargire meriti più eccelsi e troppo grande per poter essere riciclato nel limbo delle stelle cadenti di Hollywood. Sicuramente, di strada ne ha fatta, quel “ragazzotto” dell’Oklahoma dotato non solo di fascino (indispensabile, per carità), ancora troppo acerbo per poter essere accostato al suo più accreditato pigmalione, quel mito consacrato da “Rob” Redforfd, che lo ha voluto, diretto e impalmato nella maturazione d’attore, necessaria per poter meritarsi lo scettro di autentico, insostituibile, bellissimo astro della eterna Mecca del cinema mondiale. Classe ’63, mancato giornalista (per fortuna!), quello sprovveduto “uomo-sandwiches” che si aggirava per le strade in cerca di soldi e aspirazioni, prima di diventare l’autostoppista Robin Hood del Thelma e Louise di Ridley Scott, ha fatto la sua robusta gavetta nelle accreditate partecipazioni televisive, passando tra i set di Genitori in Blue Jeans, Dallas e 21 Jump Street (un episodio, al fianco dell’amico e confermato protagonista della serie, Johnny Depp), per arrivare al cinema da vero “new-talent”. Tutto ha inizio con Senza via di scampo, battesimo nel genere spionistico che lo rivedrà protagonista nei successivi Seven di David Fincher, L’Ombra del Diavolo di A.J.Pakula (ottimo Harrison Ford come spalla) e Spy Game di Tony Scott, riuscitissima incursione al fianco di Redford, che dieci anni prima lo dirige nel romanzato In mezzo scorre il Fiume, nei panni del reporter pescatore Paul McLean (Oscar alla fotografia per il francese Philippe Rousselot). Divagazioni nel fantasy adolescenziale, prima con Johnny Suede (scanzonato rockabilly diretto da Tom DiCillo) e nel clone di Roger Rabbit, Fuga dal mondo dei Sogni, investigatore dandy alle prese con una seducente Kim Basinger “disegnata” da Gabriel Byrne. Sballato e maledetto, al fianco della partner sentimentale del periodo, Juliette Lewis, nel Kalifornia di Dominic Sena, semi-riuscito road movie di facile presa, per riprenderne lo stile nel successivo Una Vita al massimo, ennesima opera di Tony Scott, con una sceneggiatura firmata da Quentin Tarantino. Neil Jordan lo “immortala” seducente vampiro nell’ Intervista col Vampiro (appunto), al fianco di un demoniaco iniziatore Tom Cruise, per passare all’epico posticcio di Edward Zwick, Vento di Passioni, affiancato da un patriarcale Anthony Hopkins e dall’ennesima partner sentimentale di turno Julia Ormond. Terry Gilliam lo vuole “pazzo e rasato” al fianco di Bruce Willis (come lo stesso Nicholson potrebbe desiderare), ne L’esercito delle 12 Scimmie, mentre Jean Jaques Annaud lo converte al buddismo (dopo un passato in Scientology) nel monumentale Sette anni in Tibet. E’ il turno di Martin Brest, miracolato dal Profumo di Donna, per l’ennesimo remake di Vi presento Joe Black, bellissima rivisitazione al classico patinato, supportato da Hopkins e l’ennesima partner Claire Forlani. Gore Verbinski lo impasta nel suo tipico stile onirico-demenziale, con The Mexican (Julia Roberts quasi non accreditata), per “affondare” nei vari Oceans Eleven-Twelve-Thirteen, diretti in pacco da Steven Soderbergh, con ciliegina George Clooney. Capolavoro, nella rivisitazione omerica ricostruita da Wolfgang Petersen, Troy, nei pani di Achille (ottimo Eric Bana nel troiano Ettore), per affiancarsi alla partner e consolidata moglie Angelina Jolie, nella “movimentata” coppia di Mr. & Mrs. Smith. Finalmente la prima consacrazione agli oneri di miglior attore, nella Coppa Volpi vinta con L’Assassinio di Jesse James per mano del codardo Robert Ford, per sfiorare l’Oscar con Il curioso caso di Benjamin Button di David Fincher e il successivo Bastardi senza Gloria, sgangherata parodia demenzial-nazzista voluta da Quentin Tarantino. Baciato dal “furbesco” tocco di Terrence Malick sul “viale del tramonto” nel The Tree of Life, lo ritroviamo, oggi, alle prese con una squadra di baseball da rilanciare ne L’Arte di Vincere di Bennett Miller, senza tralasciare le felici incursioni al doppiaggio di Megamind e Happy Feet 2.

Di seguito, tutti i film interpretati dall’attore:

Senza via di scampo (No Way Out), regia di Roger Donaldson (1987) - Non accreditato
La fine del gioco (No Man's Land), regia di Peter Werner (1987) - Non accreditato
Al di là di tutti i limiti (Less Than Zero), regia di Marek Kanievska (1987) - Non accreditato
Innamorati pazzi (Happy Together), regia di Mel Damski (1989)
Giovani omicidi (Cutting Class), regia di Rospo Pallenberg (1989)
Vite dannate, regia di Robert Markowitz (1990)
Una pista per due (Across the Tracks), regia di Sandy Tung (1991)
Thelma & Louise, regia di Ridley Scott (1991)
Johnny Suede, regia di Tom DiCillo (1991)
Contact, regia di Jonathan Darby (1992) - Cortometraggio
Fuga dal mondo dei sogni (Cool World), regia di Ralph Bakshi (1992)
In mezzo scorre il fiume (A River Runs Through It), regia di Robert Redford (1992)
Kalifornia, regia di Dominic Sena (1993)
Una vita al massimo (True Romance), regia di Tony Scott (1993)
A letto con l'amico (The Favor), regia di Donald Petrie (1994)
Intervista col vampiro (Interview with the Vampire), regia di Neil Jordan (1994)
Vento di passioni (Legends of the Fall), regia di Edward Zwick (1994)
Seven (Se7en), regia di David Fincher (1995)
L'esercito delle 12 scimmie (12 Monkeys), regia di Terry Gilliam (1995)
Sleepers, regia di Barry Levinson (1996)
L'ombra del diavolo (The Devil's Own), regia di Alan J. Pakula (1997)
Sette anni in Tibet (Seven Years in Tibet), regia di Jean-Jacques Annaud (1997)
The Dark Side of the Sun, regia di Bozidar Nikolić (1997)
Vi presento Joe Black (Meet Joe Black), regia di Martin Brest (1998)
Fight Club, regia di David Fincher (1999)
Snatch - Lo strappo (Snatch), regia di Guy Ritchie (2000)
The Mexican - Amore senza sicura (The Mexican), regia di Gore Verbinski (2001)
Spy Game, regia di Tony Scott (2001)
Ocean's Eleven - Fate il vostro gioco (Ocean's Eleven), regia di Steven Soderbergh (2001)
Confessioni di una mente pericolosa (Confessions of a Dangerous Mind), regia di George Clooney (2002) - Cameo
Full Frontal, regia di Steven Soderbergh (2002) - Cameo
Troy, regia di Wolfgang Petersen (2004)
Ocean's Twelve, regia di Steven Soderbergh (2004)
Mr. & Mrs. Smith, regia di Doug Liman (2005)
Babel, regia di Alejandro González Iñárritu (2006)
Ocean's Thirteen, regia di Steven Soderbergh (2007)
L'assassinio di Jesse James per mano del codardo Robert Ford (The Assassination of Jesse James by the Coward Robert Ford), regia di Andrew Dominik (2007)
Burn After Reading - A prova di spia (Burn After Reading), regia di Joel ed Ethan Coen (2008)
Il curioso caso di Benjamin Button (The Curious Case of Benjamin Button), regia di David Fincher (2008)
Bastardi senza gloria (Inglourious Bastards), regia di Quentin Tarantino (2009)
The Tree of Life, regia di Terrence Malick (2011)
L'arte di vincere (Moneyball), regia di Bennett Miller (2011)

lunedì 6 febbraio 2012

STRAORDINARIO SCORSESE con HUGO CABRET


Un ritorno alla regia del “maestro” Scorsese, ridisegnando il romanzo di Brian Selznick, nel tributo più spettacolare all’inventore del cinema George Méliès

Effetti speciali e culto romanzato, per il biopic più celebrativo del regista, tra magia, sogni e storia del cinema.

Nel 1861, nasceva a Parigi un uomo che avrebbe segnato la storia di quell’invenzione “brevettata” dai fratelli Lumière, per trasformare il neonato cinema in quel prodigio di illusione e realtà, conditi con sapiente maestria “di parte”. Il suo nome era George Mèliés, illusionista di mestiere e pioniere di quelle tecniche cinematografiche che hanno segnato l’immaginario di ogni cineasta che si è cimentato dietro la macchina da presa, sino ai giorni nostri. Dal memorabile Viaggio nella Luna (Le Voyage dans la Lune) del 1902, si sono susseguiti innumerevoli capolavori di montaggio (Viaggio attraverso l’impossibile e lo stesso antecedente L'homme à la tête en cahoutchouc) che hanno devoluto l’illusione effimera di quegli effetti speciali all’avanguardia (fotogrammi colorati minuziosamente a mano e dissolvenze), che hanno portato alla bancarotta la stessa Star Film di Mèliér. Oggi, quel lascito di 1500 pellicole lo ha “meticolosamente” rieditato un altro grande del Cinema, rappresentante della “Nuova Hollywood”, adattando il romanzo scritto nel 2007 da Brian Selznick (La straordinaria invenzione di Hugo Cabret) per farne un autentico capolavoro di cinema degno di tanta veemenza di stile. Il regista non poteva che essere Martin Scorsese, Classe ’42, dalle salde radici italiane devolute nel suo film-documentario Italoamericani, omaggio ai genitori e a tutti gli immigranti che hanno caratterizzato la Little Italy newyorchese. Cresciuto sotto una rigida educazione cattolica e segnato da un’asma che lo ha portato a concentrare ogni sua attitudine all’amore per il cinema (quei primi storyboard disegnati, sostituendo la cinepresa con la meticolosa riproduzione di scenari e personaggi), Hugo Cabret è il più imponente viaggio nel fantastico che Scorsese abbia potuto realizzare, riflettendo la propria adolescenza nella caratterizzazione di quei personaggi narrati da Selznick, nell’omonima storia scritta in due parti, impreziosita da centocinquantotto disegni e una pragmatica evocazione “Collodiana” allacciata allo stesso Georges Mèliés, nell’automa ritrovato dal padre orologiaio (un rinato Jude Law passato dal Lucignolo di A.I. a neo-Geppetto di Scorsese), portatore di un segreto rinchiuso nello stesso patrigno della ragazza, Isabelle (Chloè Moretz), amica del giovane Hugo (Asa Butterfield), orfano che vive di espedienti nella capitale parigina degli anni trenta. La rincorsa contro il tempo nel riunire l’automa al suo omonimo proprietario (Ben Kingsley, nella straordinaria somiglianza con l’autentico Mèliés), diventano un nostalgico monito a riappropriarsi di quel mestiere artigianale che non può essere soppiantato dalle prodezze delle nuove ere tecnologiche (benvenga il 3D!), quando ogni successione è sempre il risultato dell’evoluzione precedente, come la stessa alchimia riposta tra i due “riconosciuti” padri fondatori del cinema, i fratelli Lumière e Mèlière, nella stessa evocazione citata da Jean-Luc Godard, definendo i primi, portatori dello “Straordinario nell’Ordinario” e il secondo, dell’ “Ordinario nello Straordinario”. Rimane, in assoluto, un tributo al cinema fantastico in ogni tempo, dall’elaborazioni al computer del pionieristico Tron di Lisberger allacciato allo stesso Viaggio nella Luna, in quella panoramica di colore e luci sulla Torre Eiffel, epicentro di ogni animo artistico degno solo di essere ammirato. Da ogni critica di giudizio. Per sempre.

Paolo Vannucci