Dopo Brian
Singer, il ritorno del kryptoniano più prolifico della DC affidato a Zack
Snyder, con Henry Cavill ad indossare la Super S, nella riedizione più umanista
che il cinema abbia potuto regalare
Restyling dei personaggi creati da
Siegel & Shuster, per una inedita versione dell’eroe fondatore del fumetto
della DC Comics.
Nemmeno i
creatori originali del celebre superuomo avrebbero potuto desiderare di meglio.
Quel piccolo alieno, orfano di un pianeta distrutto dall’implacabile Sole Rosso
(ogni riferimento al nostro sistema è puramente scontato), timido e occhialuto
come vuole la tradizione di ogni feticcio freak, ma che nasconde il segreto più
tremendo che ogni essere umano possa “portare”, è tornato. Da quelle strisce
disegnate da Joe Shuster e scritte da Jerry Siegel ne sono passate di
trasposizioni più o meno riuscite. Dai programmi radiofonici statunitensi alla
prima apparizione televisiva a cui George Reeves ha donato il fisico vestito da
quella inimitabile calzamaglia rosso-blu che ha siglato la celebre frase
“questo è un lavoro per Superman”, nel primo film realizzato nel ’51 (Superman and the Mole Man), per poi
aspettare altri vent’anni per riavere un omonimo attore nel nome di Christopher
(sempre Reeve), che nell’arco di dieci anni gira quattro episodi che lasciano
un feticcio di vero culto amarcord per tutti gli estimatori del fumetto
originale, prestando maggiore attenzione al primo di Richard Donner, celebre
per quei dieci minuti affidati al grande Marlon Brando nei panni del padre
alieno Jor-El, ricevendo un onere di tre
milioni di dollari per tanta presenza scenica di parte. Musica firmata John
Williams, a cui hanno dato forza e rinascita le stesse gesta riproposte nel
2007 da Brian Singer (ennesimo ventennio di attesa), esperto del mondo Marvel
con il prototipo degli X-Men per riprendere la storia laddove lo stesso Reeve
aveva posto la firma come sceneggiatore del suo quarto capitolo, prima che rimanesse
vittima di quell’incidente che lo ha paralizzato, nella stessa sfortunata sorte
del predecessore, morto anch’esso per un “presunto” suicidio riportato sullo
schermo da Ben Affleck in Hollywoodland.
Se a Singer è stato rifiutato un sequel, a Zack Snyder è stato affidato il
“pesante” compito di dare ritrovata stima alle origini di Kal-El (noi possiamo
crogiolarci nell’originale Nembo Kid ribattezzato dalla Mondadori nel ’54),
immergendo i personaggi in quella atmosfera da graphic novel tanto riuscita in 300, per dare un risvolto più umano (minimalista
anche nel titolo, Man of Steel) ai
conflitti interirori che si celano dentro ogni superuomo, metafora moderna oggi più che mai di tutte le aspirazioni,
riadattando la storia originale con un tocco di sapienza in più. Ci ritroviamo così
un Russell Crowe in perfetto stile, per un Jor-El monolitico tanto quanto
Brando, per proteggere un orfanello che si annoda una tovaglia al collo tra le
lenzuola della madre, per segnare quell’infanzia che lo porterà a non
dimenticarsi di un padre (Jonathan Kent, riproposto da Kevin Costner) che lo
affida al suo mondo, in quella lotta tra
il bene e il male ripiegata in uno dei Supercattivi Kryptoniani per eccellenza,
nelle ire di un Generale Zod (Michael Shannon) che induce un solitario eroe a
dare valore alla propria ragione di esserlo. Bellissimo Henry Cavill nel ruolo
più rischioso tra tutti i mutanti a fumetti, ristabilendo un rispettabile
ordine al prequel devoto alle strisce degli anni 40 avvalorate da Brandon
Routh. Riuscirà la nuova Lois Lane (Amy Adams) a dare un pò di amore a tanta
sofferta disputa?
Paolo
Vannucci