domenica 17 maggio 2015

Red Carpet tricolore per la 68° edizione del Festival di Cannes

68° Edizione FESTIVAL di CANNES
Edizione al femminile, con una Ingrid Bergman da ”madrina” per i fratelli Coen

Un cinema italiano dal respiro internazionale, con Nanni Moretti, Matteo Garrone e Paolo Sorrentino in concorso.

Dal 13 al 24 maggio sono svelati i film per una Palma d'Oro che mai come quest'anno è portavoce di un cinema che non solo vuole essere dedicato alla sensualità femminile, ma che mantiene le promesse di quella distribuzione che deve garantire una qualità all'altezza della forma. Una Bergman fotografata da David Seymour, per tutelare una prestazione recitativa che è iniziata con La tête haute di Emmanuelle Bercot. Una giuria d'eccezione presieduta da Joel e Ethan Coen, Isabella Rossellini, Sophie Marceau, Guillermo del Toro e Jake Gyllenhaal per citare i più accreditati, per valutare quei titoli che hanno il merito di redigere il meglio del cinema mondiale, sia per i film che concorrono che per chi funge da alto decoro alla manifestazione, anche se fuori concorso (vedi il film d'animazione Il piccolo principe del francese Mark Osborne). Mentre Charlize Theron sfila accompagnata dal partner Sean Penn, per quel Mad Max riproposto trent'anni dopo dallo stesso George Miller, Woody Allen può sfoggiare la sua nuova musa Emma Stone, dopo il piacevole esordio di Magic in the Moonlight e oggi fuori concorso con Irrational Man, al fianco di Joaquin Phoenix. Un cinema francese che si riversa su Marguerite et Julien di Valérie Donzelli e Valley of Love di Guilleaume Nicloux, a rivaleggiare l'egemonia statunitense rappresentata da The Sea of Trees di Gus Van Sant e lo stesso Macbeth di Justin Kurzel, coproduzione anglo-francese-americana.

Moretti, Garrone e Sorrentino alla conquista del mondo

Intimi, spettacolari, decorosi… non si sprecano gli aggettivi per un trittico tricolore che sembra abbia ricevuto nuova linfa da quell'Oscar tanto criticato per quanto portavoce dell'effimero che parla a nome di quello splendore de La Grande Bellezza. Paolo Sorrentino si ripropone con una qualità che vuole appianare le critiche esuberanti regalando una magia che parla al cuore, con Youth – La giovinezza, con un Michael Caine e un Harvey Keitel ad orchestrare un dialogo intimista con il senso della vita. Nanni Moretti ci tocca nel profondo con la sua introspezione improvvisata da una Margherita Buy (Mia madre) nel ruolo di una regista che si trova alle prese con il proprio attore (John Turturro) e una madre prossima alla morte (Giulia Lazzarini). Il meglio sembra toccare a Matteo Garrone, che ha entusiasmato il pubblico di Cannes con la presentazione del suo Il Racconto dei Racconti, favola ad ampio respiro tratta da Lo cunto de li cunti di Giambattista Basile, nei tre episodi interpretati da Vincent Cassel, Salma Hayek e Toby Jones.

Paolo Vannucci 

lunedì 11 maggio 2015

Il ragionier Fantozzi compie quarant'anni

AUGURI FANTOZZI... e sono 40!
Il tragico anniversario del ragionier perdente più di successo degli italiani

Paolo Villaggio e il tributo al personaggio che lo ha elevato tra i grandi attori italiani.
 
Deve essere dura attraversare otto lustri di belpaese, raccontandone le “umane disgrazie” di un piccolo, miserabile, impiegato di una città senza nome. Perché Paolo Villaggio il suo personale Fantozzi lo ha conosciuto davvero, perché è esistito, quando anche lui faceva l'impiegato presso la Cosider, diventata poi la Megaditta tra le pagine dei suoi innumerevoli romanzi di successo, imprigionato per sempre tra le drastiche traversie di un ragioniere qualunque, come un novello Italo Calvino perso tra i suoi mulini a vento. Dieci film iniziati con il proverbiale Fantozzi del 1975, diretto da Luciano Salce, per introdurre quelle macchiette che sono diventate patrimonio nazionale di un italiano medio che tanto caricaturale non è. Un successo che non lo ha mai abbandonato, come i compagni Gigi Reder (Rag. Filini), Anna Mazzamauro (Sig.na Silvani), Liù Bosisio e successivamente Milena Vukotic (la moglie Pina) e la mostruosa figlia Mariangela (Plinio Fernando), per passare il testimone a Neri Parenti che lo ha diretto sino a Fantozzi - Il ritorno e oltre, mentre le tracce dei personaggi televisivi che lo hanno fatto crescere artisticamente lo hanno disperso in quelle commedie parallele di un successo che “riscaldato” non si è mai meritato di esserlo. Complici lo stesso Lino Banfi e Renato Pozzetto, come ricordare lo stesso Gianni Agus di un Giandomenico Fracchia che si è ritagliato un posto speciale in quell'Italia in bianco e nero un pò kitsch e naif, tanto simile a quel professor Kranz e i suoi indivisibili cammelli di peluche, nel battesimo televisivo del 1968 con il programma Quelli della domenica.
L'addio a Fracchia per il cinema impegnato di Villaggio
La carriera seria di un comico di successo”, come si definirebbe oggi, tra i salotti televisivi di chi lo celebra con entusiasmo, per ricordare quella maturità di attore impegnato che lo ha fatto emergere in quell'umanità sprezzante e sognatrice che è parte naturale dell'attore genovese, cominciando da Mario Monicelli con L'armata Brancaleone, artefice di un sodalizio con Vittorio Gassman che lo ha portato sino alla commedia di Pirandello ne Il turno di Tonino Cervi. Per non tralasciare la chiamata di Federico Fellini ne La voce della Luna, in coppia con Roberto Benigni, tratteggiando un disimpegno nato nella Compagnia goliardica Mario Baistrocchi che lo ha plasmato per quei ruoli che nel neorealismo sembrano trovare la giusta identificazione, vedi i riusciti Io speriamo che me la cavo di Lina Wertmuller e lo stesso Camerieri di Leone Pompucci. Una vita assorbita dalle sue passioni, quella per la Sampdoria e per le amicizie che davvero contano e che non ti lasciano sino alla fine, per quell'amico fragile Frabrizio De Andrè, insieme per sempre.

Paolo Vannucci 

domenica 3 maggio 2015

MAD MAX: FURY ROAD

MAD MAX: FURY ROAD
Il riavvio di una trilogia firmata sempre dal regista George Miller, con un inedito Tom Hardy a riprendere il ruolo di Mel Gibson

Reboot in grande stile, per la saga che ha iniziato trent’anni fa il genere apocalittico reinverdito dalla Graphic Novel.  

Mad Max è tornato... ma quale vigilante  deve assumere i tratti del poliziotto postatomico che nel lontano 1979  fu del rimpianto Mel Gibson è presto svelato. Reduce da una ineguagliabile trilogia rilasciata da papà Frank Miller, Tom Hardy si ritrova oggi buono e bello, alle prese con inseguimenti e cervelli deteriorati da una visionaria pazzia che si consuma tra le polverose strade di un Medioevo truculento dedicato solo ai grandi eroi... fuori di testa lo aggiungiamo tranquillamente noi, con il benestare del regista George Miller, lo stesso che ha iniziato la prima trilogia che ha fatto la fortuna di un genere ripreso dallo stesso Ridley Scott per il suo Blade Runner, e le somiglianze non si sprecano. Tutto ha avuto inizio con Interceptor (Mad Max), primo capitolo del regista australiano, fedelmente devoto a quel feticcio di attore che ha saputo rappresentare quel nuovo concetto di violenza gestita da riprese turbolente impastate di motociclisti semimutanti e di una trama rilasciata da quelle letture per ragazzi che attingono da una fantascienza reinventata a dovere. Olocausto è sempre stata la parola magica che ha aperto un mondo di distruzione che ha preso in prestito le lande desertiche della stessa Australia per farne un mondo di antieroi pronti a uccidere senza causa (Interceptor – il guerriero della strada), grotteschi nella maniacale ripetitività di sequenze che devono tutto il loro fascino alla stessa colonna sonora a cui fanno riferimento. Qui entra in causa il terzo episodio girato nel 1985, Mad Max oltre la sfera del tuono,  dove una grintosa Tina Turner si vede chiamata in causa per il ruolo della regina Auntie, madrina di quel duello perpetuato in sfavore del protagonista alle prese con il signore della città sotterranea di Barteltown. Un protagonismo ripreso oggi da una adeguatissima Charlize Theron nel ruolo di Furiosa, tra protesi e incarnazioni di un gene ribelle che seduce  con lo stesso ritmo di un fumetto da intenditori, nella visionaria distruzione di un Gimenez dai tratti seducenti, complici le eterne pianure australiane care al regista, miscelate dai deserti sudafricani dei Cape Town Film Studios. La giostra del futuro è nuovamente allestita a dovere, per riprendere Max Rockatansky laddove lo avevamo lasciato e sappiamo tutti che dover eguagliare un personaggio che ha sempre avuto un debito con la fisicità di Mel Gibson non è impresa tanto facile e scontata per il nostro Tom Hardy. I presupposti per non far rimpiangere nulla partono tutti da George Miller, camaleontico regista che ha saputo reinventare generi al ritmo di Happy Feet o lo stesso L’Olio di Lorenzo, sapendo gestire situazioni completamente diverse per genere e moralità. Che la corsa di Fury Road abbia inizio...                        

Paolo Vannucci