mercoledì 21 dicembre 2016

DiCinema: la nuova Hollywood

DiCINEMA: JAMES McAVOY
Un viaggio nello star system mondiale, per conoscere gli attori e i registi che hanno rinnovato l’ultima generazione di miti in celluloide
Carisma e ribellione, per uno dei volti del cinema internazionale che ha saputo imporsi da grande protagonista nella mecca hollywoodiana, nelle qualità di attore di James McAvoy.
Quando l'irrequietezza non prevalica il buon gusto dell'educazione, assimilando tutti quei canoni esistenziali che formano la personalità dei giovani di ogni generazione. James Andrew mcAvoy (Scozzese puro, classe '79) ha il privilegio di poter dispensare il proprio carattere forgiato nell'umiltà, per elargire ruoli di una recitazione che lo hanno immedesimato negli stessi caratteri proposti, unendo il divo al ragazzo della porta accanto. Nato da madre infermiera e padre muratore, divorziati all'età di sette anni, ha combattuto il proprio conflitto adolescenziale tra il desiderio ecclesiastico e la carriera militare, optando felicemente per una formazione artistica diplomandosi alla Royal Scottish Academy of Music and Drama. Il debutto cinematografico avviene con la pellicola diretta da David Hayman, The Near Room, continuando con ruoli che non lo pongono al centro dell'attenzione, almeno sino a quando viene scelto dal regista Andrew Adamson per interpretare il ruolo del fauno Tumnus nel primo episodio della saga Le cronache di Narnia – Il leone, la strega e l'armadio. Continua alternando film drammatici alla commedia disimpegnata, passando da L'Ultimo Re di Scozia (di Kevin McDonald) a Penelope, favola moderna al fianco di Christina Ricci. Il vero successo nella conferma di giovane attore arriva con il drammatico film diretto da Joe Wright, Espiazione, al fianco di Keira Knightley, confermando le proprie indiscusse capacità riposte nello stesso carisma, nel complesso dramma storico The Conspirator, diretto da Robert Redford. Tutto questo per un preambolo da grande protagonista, grazie ai fantomatici super eroi della Marvel, rivestendo il ruolo del Dottor Xavier nei prequel riposti nei personaggi noti come X-Men, succedendo al ruolo dell'anziano Patrick Stewart in tre capitoli che hanno avuto il pregio di costruire al meglio le complessità adolescenziali del noto gruppo di mutanti. Una carriera felicemente avviata, per un volto che non rinuncia al teatro, recitando in una pièce diretta da Richard Greenberg, Three Days of Rain, con un buon successo di pubblico e critica.

Paolo Vannucci 

mercoledì 23 novembre 2016

DiCinema: la nuova Hollywood

DiCINEMA: TOM HANKS

Un viaggio nello star system mondiale, per conoscere gli attori e i registi  che hanno rinnovato l’ultima generazione di miti in celluloide

Comicità, drammaticità e impegno, per uno dei volti del cinema internazionale che ha saputo imporsi da grande protagonista nella mecca hollywoodiana, nelle qualità di attore di Tom Hanks.

“Uno per tutti e tutti per uno” sembra essere il motto più adeguato per descrivere uno dei volti più rappresentativi del cinema mondiale contemporaneo, tramutando quella innata predisposizione alla verve comica in uno stile che s'addice alla commedia drammatica come alla satira più disimpegnata. Tutto ciò appartiene al grande Tom Hanks (Concord, 1956) di padre americano (lontano discendente del presidente Lincoln) e di madre portoghese. Si diploma alla California State University di Sacramento e approda alla televisione appena ventenne con la serie televisiva Henry e Kip, a cui seguono Love Boat, Happy Days e il più fortunato Casa Keaton, esprimendo, in quelle brevi apparizioni da autentici cammei, tutto il suo potenziale che imploderà nel primo successo cinematografico da vero protagonista, in quel Splash – Una sirena a Manhattan diretto da Ron Howard, accanto ad una esordiente Daryl Hannah, a cui seguiranno dei veri successi commerciali di puro divertimento in stile American Graffiti, passando da Bachelor Party – Addio al celibato (regia di Neal Israel) a L'uomo con la scarpa rossa (di Stan Dragoti) e lo stesso Casa, dolce casa? (regia di Richard Benjamin), araldi di un disimpegno che ha potuto sagomare un carisma della risata intelligente. Il salto alla commedia di grandi pretese arriva con Big, rifacimento del nostrano Da grande con Renato Pozzetto, aggiungendo un tocco di originalità tutta americana per mano di Penny Marshall. Stesso stile per i successivi L'erba del vicino e Turner e il casinaro, per approdare finalmente al cinema d'impegno con Il Falò delle Vanità di Brian De Palma, accanto a Bruce Willis e Melanie Griffith. Ottimo cinema di grande respiro con Ragazze vincenti di Penny Marshall e Insonnia d'Amore di Nora Ephron, rispettivamente accanto a Geena Davis e Meg Ryan. Il tanto sospirato Oscar per un cinema d'impegno arriva con Philadelphia di Jonathan Demme, vero portabandiera sui pregiudizi legati al fenomeno dell'AIDS e sull'omofobia causata dall'omosessualità. Successo bissato l'anno successivo con l'imponente Forrest Gump di Robert Zemeckis, aggiudicandosi la seconda statuetta per il Miglior attore protagonista, in quella favola tutto zucchero e poesia tratta dal romanzo di Winston Groom. Ron Howard lo rivuole in grande stile per il suo Apollo 13, biopic sulla tanto celebrata missione più disastrosa della NASA,  a cui seguono pellicole di grande richiamo quali Salvate il soldato Ryan di Steven Spielberg, che firma anche i successivi Prova a Prendermi,The Terminal e Il Ponte delle Spie. La fortuna lo vede nuovamente grande protagonista con la serie di romanzi di Dan Brown, a cui Ron Howard deve tutta la sua peculiarità di regista, firmando il trittico composto da Il Codice da Vinci, Angeli e demoni e InfernoSeconda prova da regista (l'antecedente Music Graffiti) con L'amore all'improvviso, per rispolverare il cinema dei grandi sogni e orizzonti con Cloud Atlas, diretto a quattro mani da Lana Wachowski e Tom Tykwe. Da segnalare Captain Phillips – Attacco in mare aperto di  Paul Greengrass, per tornare a deliziare il pubblico delle grandi occasioni con Saving Mr. Banks di John Lee Hancock, biopic sulla travagliata nascita del capolavoro di Walt Disney, Mary Poppins.

Paolo Vannucci

venerdì 21 ottobre 2016

DiCinema: la nuova Hollywood

DiCINEMA: JUDE LAW
Un viaggio nello star system mondiale, per conoscere gli attori e i registi che hanno rinnovato l’ultima generazione di miti in celluloide
Carisma e raffinatezza british, per uno dei volti del cinema internazionale che ha saputo imporsi da grande protagonista nella mecca hollywoodiana, nelle qualità di attore di Jude Law.

Ogni attore che si rispetti vorrebbe lasciare un segno concreto della propria personalità nel difficile mestiere di incantatore, rubando il fascino a quella maestria che si rafforza nella ribalta del teatro. Jude Law ha saputo conciliare due mondi artistici cogliendone l'essenza migliore, per diventare autenticità e originalità di impostazione nel suo essere talento. Nato a Londra (classe '72), ha iniziato la sua carriera di attore calcando le scene teatrali del National Youth Music Theatre, per poi essere notato nella produzione diretta da Sean Mathias con il titolo di Les Parents terribles, successivamente riportata a Broadway recitando al fianco di Kathleen Turner, ottenendo una nomination al Theatre World Award. Il debutto cinematografico arriva con Shopping, diretto da Paul W.S. Anderson, ma gli oneri migliori arrivano con Wilde, diretto da Brian Gilbert, biopic sulla vita del celebre poeta interpretato da Stephen Fry che gli vale il premio come migliore promessa con l'Evening Standard British Film Award. Segue il fortunato Gattaca – La porta dell'Universo, diretto da Andrew Niccoli, recitando al fianco di Ethan Hawke e Uma Thurman. Prima nomination agli Oscar come Miglior attore non protagonista con il film Il talento di Mr. Ripley di Anthony Minghella, a cui seguono Il nemico alle porte (diretto da Jean-Jaques Annaud) e il circo multicolore diretto da Steven Spielberg, nel pretenzioso A.I. - Intelligenza Artificiale, prestando il volto ad un Lucignolo futurista per la trasposizione più originale ispirata alla celebre favola di Collodi. Nuova candidatura all'Oscar come Miglior attore protagonista, sempre con Anthony Minghella alla regia, per Ritorno a Cold Mountain. Ennesima incursione nel fantasy con Sky Captain and the World of Tomorrow, per impreziosire vari film quali Alfie (diretto da Charles Shyer), Closer (di Mike Nichols) e l'imponente The Aviator del grande Martin Scorsese, al fianco di Leonardo DiCaprio. Una dialettica di sicuro successo, che si rivaluta nel Un Bacio Romantico, diretto da Kar Wai Wong, per rinvigorire la vena teatrale con il regista Kenneth Branagh per il suo Sleuth – Gli insospettabili. Terry Gilliam lo pretende per conciliare la multiforme interpretazione del protagonista di Parnassus – L'uomo che voleva ingannare il diavolo, per proporsi ad uno dei ruoli di maggior successo nei panni del fedele Watson per la trasposizione più originale di Sherlock Holmes diretto da Guy Ritchie. Incursione di magistrale importanza nell' Anna Karenina diretto da Joe Wright, per passare al drammatico Effetti Collaterali di Steven Soderbergh e all'imponenza di Grand Budapest Hotel diretto da Wes Anderson. Una magia che si ripropone inalterata per quel rigore che solo il suo carisma riesce ad elargire, per ritrovarlo intatto nell' Hugo Cabret del maestro Scorsese, per dimostrare la sua variegata capacità di immedesimazione in The Young Pope, miniserie televisiva creata e diretta da Paolo Sorrentino e presentata alla 73° Mostra del Cinema di Venezia.
Paolo A. Vannucci

lunedì 26 settembre 2016

DiCinema: la nuova Hollywood

DiCINEMA: KEIRA KNIGHTLEY
Un viaggio nello star system mondiale, per conoscere gli attori e i registi che hanno rinnovato l’ultima generazione di miti in celluloide
Sensualità e tenacia, nelle autentiche qualità di attrice nel nome di Keira Knightley, ultima eroina di Hollywood.

Riuscire a catalizzare l'attenzione, stabilendo quel compromesso in un equilibrio di attrice che ti permette di dipingere di sfaccettature ogni tuo personaggio, rimane il privilegio di poter toccare gli apici di un successo meritato nel proprio nome, dove determinazione e talento sono il risultato di quelle qualità. Tutto questo in un nome, autentico e “battagliero” come la sua determinazione ad imporsi nel grande panorama del cinema hollywoodiano; Keira Knightley. Inglese purosangue (Teddinghton, 26 marzo 1985), da padre attore e madre sceneggiatrice, il battesimo arriva con le prime produzioni televisive a nove anni, nel film TV A Village affair, ma è con George Lucas che arriva il successo del grande cinema, con l'interpretazione di Sabé nell'episodio Star Wars – La minaccia fantasma. Ancora qualche sforzo ben riposto nella commedia Sognando Beckham di Gurinder Chadha, per approdare alla fortunata saga diretta da Gore Verbinski, Pirati dei Caraibi, accanto al poliedrico Johnny Depp. Tra duelli in alto mare e amori contesi, intervalla interpretazioni di grande effetto, cominciando dal film diretto da Richard Curtis, Love Actually – L'Amore davvero, poliedrico valzer tra i grandi nomi del cinema mondiale, quali Hugh Grant, Liam Neeson, Emma Thompson, Alan Richman e Colin Firth. Inossidabile nei ruoli di eroina in costume, la troviamo nell'inedito ruolo di Ginevra nel King Arthur di Antoine Fuqua, per passare al più complesso e importante ruolo di Lizzie nella trasposizione diretta da Joe Wright, Orgoglio e Pregiudizio, per cui riceve la sua prima nomination all'Oscar. Ormai diventata un autentico volto di buone garanzie, viene scelta nuovamente dal regista per l'ambizioso Espiazione, al fianco di un misurato James McAvoy. Di spicco risulta l'emblematico Non lasciarmi diretto da Mark Romanek, al fianco di Andrew Garfield, per dare un tocco di originalità al drammatico film dedicato alle angosce psicoanalitiche diretto da David Cronenberg, A Dangerous Method. Nuovamente chiamata all'appello da Joe Wright per l'imponente Anna Karenina, viene scelta da Kenneth Branagh per Jack Ryan – L'iniziazione, prima di arrivare alla seconda nomination all'Oscar per Miglior attrice non protagonista con il film diretto da Morten Tyldum, The Imitation Game. Tutto questo ad incorniciare uno dei volti più rappresentativi di un cinema di ampio respiro e grande valore, che ha solo potuto elargire un talento nella garanzia di una attrice di successo.
Paolo Vannucci

lunedì 29 agosto 2016

DiCinema: la nuova Hollywood

DiCINEMA: RICHARD GERE
 Un viaggio nello star system mondiale, per conoscere gli attori e i registi che hanno rinnovato l’ultima generazione di miti in celluloide
Bello e impossibile, per sempre gigolò: il carisma del divo più efferato nel talento di Richard Gere.

E’ possibile che un film, nel suo essere fondamentalmente fenomeno di costume, possa imprimere a pelle la vita di un attore? Non sarebbe la prima volta e la lista dei fortunati che hanno arricchito le casse e le tasche della mecca hollywoodiana può sembrare illimitata e (scoordinatamente) ripetitiva. Questo non ha di certo demotivato le aspirazioni di uno dei sex symbol più celebrati della storia del cinema di tutti i tempi, in quel nome che ha siglato i successi di botteghino più effimeri degli ultimi trent’anni, passando dal mito battezzato nell’American gigolò di Paul Schrader al successo celebrato nel culto di Pretty Woman del pigmalione Garry Marshall. Richard Tiffany Gere (classe ’49) nato a Philadelphia dal padre Homer, assicuratore, e la madre Doris Anna, casalinga, debuttando nel musical teatrale Grease, dimostrando quelle qualità musicali riconfermate nei recenti successi di Chicago (ottimo cocktail di star a viva voce), nell’analogo Cotton Club del maestro Coppola e il drammatico “di fiele” Mr. Jones, abilmente diretto da Mike Figgis, con Lena Olin al seguito. Passando dalla ricostruzione documentaristica elaborata da John Schlesinger, Yankees (catenaccio in stile politically correct) alla devozione romanzata del dogma, nella trasposizione tratta dal libro scritto da Graham Greene, Il Console onorario (Beyond the limit, in originale), l’ennesima consacrazione di Gere arriva con il successo firmato Taylor Hackford, Ufficiale e gentiluomo, al fianco di Debra Winger e Louis Gossett jr., vincitore dell’Oscar analogamente alla canzone originale (Up where we belong). Kim Basinger lo affianca nei thriller Nessuna pietà e il restyling del Vertigo hitchcockiano Analisi finale (ottima regia di Phil Joanou), con Eric Roberts a modernizzare un triangolo più sulle righe. Jon Amiel lo dirige nel remake del francese Il ritorno di Martin Guerre, Sommersby, con Jodie Foster e Bill Pullman a cucire una trama allettata dalla musica effimera di Danny Elfman, per sostenere un godibile assemblaggio di personaggi e ambienti. Seguono il pretenzioso omaggio epico dedicato alla tradizione anglosassone del Il Primo Cavaliere, con Sean Connery e Julia Ormond ad affiancarlo nel ruolo di Lancillotto, e l’analogo omaggio alla tradizione americana della commedia drammatica sentimentale, nel Autumn in New York, diretto da Joan Chen, con Winona Ryder nel rituale ruolo dell’infelice amata destinata a morire. Adrian Lyne lo ritrae nella sua abilità di ristrutturare la dinamicità del thriller a favore del linguaggio moderno, nel riuscito Unfaithful –L’amore infedele, con Diane Lane e Oliver Martinez a condensare l’ennesimo triangolo d’autore. La commedia disimpegnata firmata da Lasse Hallstrom, Hachiko-Il tuo miglior amico, lo riporta ai fasti meno pretenziosi di Se scappi ti sposo (Garry Marshall, con Julia Roberts nel dissacratorio sequel del più meritevole Pretty Woman) e Il Dottor T e le donne, firmato da Robert Altman. Rimangono i proseliti del genere nel tiepido Shall we dance? Al fianco di Jennifer Lopez nei rimandi dell’originale interpretato dalla coppia Fred Astaire e Ginger Rogers, per scuotere di cinematografia contemporanea nei riusciti The Double e La Frode, quest’ultimo sorretto da una fotografia celebrativa che riesce a incorniciare i ruoli abilmente sostenuti da Susan Sarandon e Laetitia Casta. Una carriera di tutto rispetto per un attore che ha sempre rielaborato la propria recitazione a favore di un cinema che ha meritatamente sostenuto l’attore, dietro il sex symbol. 
Paolo Vannucci

lunedì 25 luglio 2016

DiCinema: La nuova Hollywood

DiCINEMA: KRISTEN STEWART
Un viaggio nello star system mondiale, per conoscere gli attori e i registi che hanno rinnovato l’ultima generazione di miti in celluloide
Freschezza giovanile e carattere da primadonna, per una delle giovani emergenti della patinata alcova delle attrici più pretendenti di Hollywood, nel talento di Kristen Stewart.

Se essere etichettata dalle dive patinate della mecca del cinema, grazie ad un ruolo che ti pone all'attenzione di critica e pubblico, vuole dire essere sinonimo di qualità nel proprio nome… bene, la giovanissima Kristen Stewart può meritatamente adagiarsi in quell'alcova di successo che si è imposto con il personaggio di Isabella Swan, nella trasposizione cinematografica dei romanzi culto dell'autrice Stephenie Meyer nella saga di Twilight. Un ruolo di eroina romantica che ha solo rafforzato un talento recitativo iniziato con La sicurezza degli oggetti, diretta da Rose Troche, per passare al più ambizioso Oscure presenze a Cold Creek, al fianco di Dennis Quaid e Sharon Stone. Ruoli che la mettono in evidenza, preparandola per quel debutto di fama di un ciclo “vampiresco” preceduto da un gradevole ruolo romantico ne Il bacio che aspettavo, al fianco di Adam Brody (noto al pubblico giovanile per il serial televisivo O.C.) e Meg Ryan. Incursione marginale nel Jumper di Doug Liman, dopo aver impreziosito l'asprezza di un pretenzioso Into the Wild diretto da Sean Penn. La conferma di un valore di blockbuster si ripropone con Biancaneve e il cacciatore di Rupert Sanders, rivisitando in chiave dark una delle favole più preziose del ciclo disneyano. Una scelta di ruoli che la mettono in bilico tra adolescenza perduta e maturità, affrontando così un cammino di scelte artistiche che si evidenziano nell'audacia di On the Road di Walter Salles, ponendosi all'attenzione di una critica più severa e meno propensa ai facili consensi. Un volto facilmente apprezzato dalle campagne pubblicitarie, passando da Chanel a Balenciaga, per mettersi alla prova come regista nel videoclip della band Sage + The Saints. Primo riconoscimento importante con il Premio César per il film Sils Maria di Olivier Assayas, per arrivare ad impreziosire la vena registica dello stesso Woody Allen con Cafè Society, confermando un'ambizione felicemente riconosciuta dalla propria crescita di attrice, riconosciuta dallo stesso Ang Lee nel proprio Billy Lynn's Long Halftime Walk. Una carriera che può solo crescere in meglio, avvalorando quei natali che non potevano che promettere una strada artistica in ascesa, benvoluto da un padre manager e produttore televisivo, John Stewart, e la stessa madre Jules Stewart, sceneggiatrice e regista. Ormai i tempi di Twilight sembrano un lontano ricordo di una promettente adolescente che, da cigno, si è imposta nel vortice più maturo di un cinema responsabile delle proprie scelte.
Paolo Vannucci