giovedì 21 gennaio 2016

OSCAR 2016: le nominations della 88° edizione

OSCAR 2016: LE NOMINATIONS
Leonardo DiCaprio favorito, mentre Alejandro Iñárritu e Adam McKay si contendono il miglior film dell'anno

Un cinema di transizione, con DiCaprio, Fassbender e Cate Blanchett a dominare i pronostici.

Un anno intenso di cinema che parla con la voce di chi vuole forgiare una realtà che non ha rinunciato a farci sognare, parlando con un linguaggio cinematografico che ha rinnovato i cliché di un digitale che brucia l'anima, per merito di quei cineasti che sanno rinvigorire una semantica dell'immagine mai data per scontata e parliamo di Alejandro González Iñárritu, nuovamente alla ribalta dei pronostici migliori con quel successo di critica che risponde al nome di The Revenant – Redivivo, nominato per miglior film, regia, attore, fotografia, scenografia e montaggio, con tre Golden Globe che hanno sancito i meriti di quell'azione estrema condivisa dallo stesso George Miller, meno favorito nella sua tiepida originalità rivalutata con Mad Max: Fury Road e più accostabile all'opera visiva firmata da Ridley Scott con Sopravvissuto – The Martian, nella prosaica prova di attore di un Matt Damon che riesce a riproporsi e a stupire. Conferme di tutto rispetto per un ritrovato Sylvester Stallone che si pone all'attenzione con un outsider di buone speranze nel proprio Creed – Nato per combattere, mentre Brad Pitt e Christian Bale si contendono i favori nello stesso The Big Short – La grande scommessa, a pari merito di un Quentin Tarantino che rilancia i suoi meriti migliori con un Ennio Morricone che ha deliziato un Golden Globe annunciato per le musiche di The Hateful Eight. Per il miglior film straniero si parte con un pronostico sancito dal Globe già vinto da Il figlio di Saul, mentre il cinema al femminile si pone all'attenzione di una Cate Blancett con Carol, insieme a Jennifer Lawrence per Joy e Charlotte Rampling per 45 anni. Una attenzione maggiore nell'animazione siglata Disney-Pixar con Inside Out.

L'Oscar atteso da Leo DiCaprio


Che sia l'anno di Leonardo DiCaprio, tutti se lo augurano, per quella statuetta inseguita già da J. Edgar, sempre impeccabile nel riproporsi fedele a quegli schemi rivalutati da Il grande Gatsby di Baz Luhrmann, vera opera visiva dagli echi di un coreografato Romeo + Giulietta di William Shakespeare mai dimenticato, romantico monito a quel Titanic che impone le memorie di un attore dal viso di ragazzino che sembra non riuscire a scrollarsi di dosso l'immagine di un eterno Jack Dawson. Ma le primavere passano per tutti e la legge dello spettacolo sembra porsi a favore di Leo, in quel The Revenant che si spinge al limite di quella natura umana messa alla prova da una caparbietà che si piega oltre i limiti della resistenza alla morte, illuminati da un tramonto freddo e glaciale che vuole colorare l'anima di chi sa parlare con gli oneri di un mestiere che dalla regia di Alejandro Iñárritu c'è solo da imparare. Auguri Leo!

giovedì 7 gennaio 2016

DiCinema. la nuova Hollywood

DICINEMA: SYLVESTER STALLONE
 Un viaggio nello star system mondiale, per conoscere gli attori e i registi che hanno rinnovato l’ultima generazione di miti in celluloide
Azione, machismo e impegno: le tre qualità che hanno contraddistinto uno degli attori più meritevoli, nelle qualità di Sylvester Stallone.

Il riscatto sull’umiliazione. Uno dei temi principali da cui ha attinto ogni sorta di autore che si è cimentato dietro la macchina promozionale del cinema, generando ogni sorta di prodotto commerciale, bazzicando in ogni genere, dal comico al drammatico, senza trascurare quell’impegno sociale che sembra sgorgare da quel campanilismo nazionale che può facilmente vacillare. Escludendo chi del proprio valore sportivo ne ha fatto la peculiarità d’attore, vedi i vari Bruce Lee e il più attinente Jean Claude Van Damme, non sono molti i nomi che hanno saputo valorizzare un cinema celebrativo all’altezza dei meriti, ripescando volentieri un Chuck Norris dai meandri televisivi contemporanei, nel riflesso della popolarità acquisita e consolidata dal proprio talento, nel corso di una carriera costruita ad arte. Sylvester Stallone, “Sly” per chi si vuole confidenzialmente avvicinare al mito, dai natali controversi e battezzati in quell’ istituto di carità dal nome provvidenziale per chi vuole coniugare la pronosticata sorte, Hell’s Kitchen (Cucina dell’Inferno) nel quartiere di Manhattan, dal padre barbiere (Frank Stallone, dal quale ha ereditato il nome il secondogenito, musicista e anonima comparsa di rilievo), dalle origini italiane pugliesi (i nonni di Gioia del Colle, in provincia di Bari) e dalla madre astrologa, Jacqueline Labofish. Studente difficile (14 istituti cambiati prima di arrivare al college), trova la strada scegliendo un corso di Arte Drammatica e iniziando con vari produzioni off-Broadway, in quell’iniziazione porno-soft Porno proibito-Italian Stallion, che siglerà lo stesso pseudonimo adottato nello script originale che gli è valso l’Oscar (regia, miglior film e montaggio) per Rocky, con il primo diretto da John G. Avildsen e i successivi 4 episodi diretti da lui stesso (eccetto Rocky V ripreso da Avildsen), conclusosi con un “fiacco e appesantito” epilogo, una obsoleta metafora in bilico tra la vita privata dell’attore (il figlio Sage, usato nel quinto episodio, morto per arresto cardiaco nel 2012) e l’ego del proprio personaggio, oggi in sala con Creed, dedicato al figlio di Apollo. Dal pugile di periferia in avanti, sono un susseguirsi di successi commerciali più o meno centrati, sottolineando le tre produzioni che possono avere il pregio di vivere di vita propria rispetto alla stessa filmografia, in ordine F.I.S.T. (di Norman Jewison, sul conflitto d’interessi ripiegato nelle lotte sindacali), I Falchi della Notte (di Bruce Malmuth, revisionando il mito di Serpico di Lumet, con l’originale Al Pacino nei meandri corrotti della legge urbana) e il restyling anni ’80 de La Grande Fuga, approfittando di un soggetto analogo diretto nel ’61 da Z. Fabri, Due tempi all’Inferno, con un cocktail di veri assi del football, da Pelè a Bobby Moore, per Fuga per la Vittoria, diretto da John Huston. Altro grande colosso, nel “conflitto” di botteghino accumulatosi con gli anni, è Rambo, personaggio ispirato dall’omonimo romanzo di David Morrell, First Blood (Primo Sangue), trasposto per il cinema da Ted Kotcheff nell’82, il precursore di una fortunata trilogia nelle possenti spalle di un Sylvester Stallone “pompato” su misura, visto che il servizio di leva lo ha completamente schivato proprio per la stessa guerra del Vietnam, arrivato sino all’ultimo (per ora) capitolo da lui diretto nel 2008, John Rambo. Lodevole alla regia, rimane la ripresa della fortunata scia lasciata da La Febbre del sabato sera, in quel Tony Manero caratterizzato da John Travolta, sfruttando la dinamica del montaggio celebrato dal proprio Rocky per metabolizzare in passi di danza e musica un sequel di riguardo, con Staying Alive. Al limite della “naivetè” affiora l’assolo di Cobra, dal cui set scaturisce l’amore con la compagna Brigitte Nielsen, per passare dalla pura commedia (Fermati, o mamma spara) al dramma d’azione meno accreditato (Cliffhanger), toccato dalle grazie di un John Landis che lo ha “ammorbidito” nel valzer di Oscar – Un fidanzato per due figlie, gradevole farsa nella falsariga del proibizionismo, con Vincent Spano e Marisa Tomei tra i tanti. Incursione fantasy nel fumetto in celluloide rimane Dredd – La legge sono io, al fianco di Diane Lane, per riprendere il genere poliziesco tastato commercialmente con Tango e Cash, nel più drammatico Cop Land, diretto da James Mangold. Assist da cammeo rimangono i recenti episodi dei I Mercenari, nel primo dei due capitoli diretto dall’attore, per tracciare un bilancio in positivo di una carriera che ha egregiamente incorniciato gli status massimi dei cliché espressi dal cinema americano, in quel nome che è diventato un vero e proprio marchio di garanzia.