lunedì 29 agosto 2016

DiCinema: la nuova Hollywood

DiCINEMA: RICHARD GERE
 Un viaggio nello star system mondiale, per conoscere gli attori e i registi che hanno rinnovato l’ultima generazione di miti in celluloide
Bello e impossibile, per sempre gigolò: il carisma del divo più efferato nel talento di Richard Gere.

E’ possibile che un film, nel suo essere fondamentalmente fenomeno di costume, possa imprimere a pelle la vita di un attore? Non sarebbe la prima volta e la lista dei fortunati che hanno arricchito le casse e le tasche della mecca hollywoodiana può sembrare illimitata e (scoordinatamente) ripetitiva. Questo non ha di certo demotivato le aspirazioni di uno dei sex symbol più celebrati della storia del cinema di tutti i tempi, in quel nome che ha siglato i successi di botteghino più effimeri degli ultimi trent’anni, passando dal mito battezzato nell’American gigolò di Paul Schrader al successo celebrato nel culto di Pretty Woman del pigmalione Garry Marshall. Richard Tiffany Gere (classe ’49) nato a Philadelphia dal padre Homer, assicuratore, e la madre Doris Anna, casalinga, debuttando nel musical teatrale Grease, dimostrando quelle qualità musicali riconfermate nei recenti successi di Chicago (ottimo cocktail di star a viva voce), nell’analogo Cotton Club del maestro Coppola e il drammatico “di fiele” Mr. Jones, abilmente diretto da Mike Figgis, con Lena Olin al seguito. Passando dalla ricostruzione documentaristica elaborata da John Schlesinger, Yankees (catenaccio in stile politically correct) alla devozione romanzata del dogma, nella trasposizione tratta dal libro scritto da Graham Greene, Il Console onorario (Beyond the limit, in originale), l’ennesima consacrazione di Gere arriva con il successo firmato Taylor Hackford, Ufficiale e gentiluomo, al fianco di Debra Winger e Louis Gossett jr., vincitore dell’Oscar analogamente alla canzone originale (Up where we belong). Kim Basinger lo affianca nei thriller Nessuna pietà e il restyling del Vertigo hitchcockiano Analisi finale (ottima regia di Phil Joanou), con Eric Roberts a modernizzare un triangolo più sulle righe. Jon Amiel lo dirige nel remake del francese Il ritorno di Martin Guerre, Sommersby, con Jodie Foster e Bill Pullman a cucire una trama allettata dalla musica effimera di Danny Elfman, per sostenere un godibile assemblaggio di personaggi e ambienti. Seguono il pretenzioso omaggio epico dedicato alla tradizione anglosassone del Il Primo Cavaliere, con Sean Connery e Julia Ormond ad affiancarlo nel ruolo di Lancillotto, e l’analogo omaggio alla tradizione americana della commedia drammatica sentimentale, nel Autumn in New York, diretto da Joan Chen, con Winona Ryder nel rituale ruolo dell’infelice amata destinata a morire. Adrian Lyne lo ritrae nella sua abilità di ristrutturare la dinamicità del thriller a favore del linguaggio moderno, nel riuscito Unfaithful –L’amore infedele, con Diane Lane e Oliver Martinez a condensare l’ennesimo triangolo d’autore. La commedia disimpegnata firmata da Lasse Hallstrom, Hachiko-Il tuo miglior amico, lo riporta ai fasti meno pretenziosi di Se scappi ti sposo (Garry Marshall, con Julia Roberts nel dissacratorio sequel del più meritevole Pretty Woman) e Il Dottor T e le donne, firmato da Robert Altman. Rimangono i proseliti del genere nel tiepido Shall we dance? Al fianco di Jennifer Lopez nei rimandi dell’originale interpretato dalla coppia Fred Astaire e Ginger Rogers, per scuotere di cinematografia contemporanea nei riusciti The Double e La Frode, quest’ultimo sorretto da una fotografia celebrativa che riesce a incorniciare i ruoli abilmente sostenuti da Susan Sarandon e Laetitia Casta. Una carriera di tutto rispetto per un attore che ha sempre rielaborato la propria recitazione a favore di un cinema che ha meritatamente sostenuto l’attore, dietro il sex symbol. 
Paolo Vannucci