martedì 19 dicembre 2017

DiCinema: la nuova Hollywood

DiCINEMA: CHRISTIAN BALE
Un viaggio nello star system mondiale, per conoscere gli attori e i registi che hanno rinnovato l’ultima generazione di miti in celluloide
Istrionismo e impegno, per uno dei volti del cinema internazionale che ha saputo imporsi da grande protagonista nella mecca hollywoodiana, nelle qualità di attore di Christian Bale.

Trovare un bambino prodigio che ha mantenuto fede al proprio percorso di un successo modellato abilmente sulle aspirazioni di un'età che muta agevolmente, proprio come il tempo, è una scommessa dura da vincere. Ebbene, Christian Bale, quella scommessa, l'ha meritatamente vinta, ponendo le solide basi natali da una famiglia con il DNA intinto nello spettacolo (la madre circense e il nonno prestigiatore e ventriloquo), nonché gallese purosangue, avvalendosi dei continui spostamenti della famiglia per assorbire quella personalità così necessaria alla formazione di un attore. Le prime lezioni di ballo e di chitarra, per debuttare negli spot televisivi a otto anni per la Lenor e i cereali Pac-Man, per passare alle produzioni televisive di spessore, vedi Anastasia – L'ultima dei Romanov, ruolo che lo fa notare per il primo successo mondiale di pubblico nel battesimo voluto da Steven Spielberg, nel suo L'Impero del Sole, ponendolo al centro di un'attenzione che lo destabilizza al punto di decidere di smettere di recitare. Ma è Kenneth Branagh che lo rimette in gioco nel suo Enrico V. Arrivano così le interpretazioni che lo insignano del Young Artist Awards, passando da Gli strilloni (di Kenny Ortega) a Swing Kids – Giovani ribelli diretto da Thomas Carter. Uno dei ruoli più adeguati alla reale personalità del giovane Christian arriva per mano di Gillian Armstrong, nel suo Piccole Donne, al fianco di Winona Ryder. Una caratterizzazione che lo identifica come vero protagonista di un cinema in cerca di ruoli importanti. Arriva così lo “spiazzante” American Psycho di Mary Harron, una surrealistica visione di un arrivismo omicida che suscita più imbarazzo che reale interesse di critica. Affianca Nicolas Cage per Il mandolino del capitano Corelli, per affrontare la prima trasformazione fisica della sua carriera, dimagrendo in misura notevole per L'uomo senza sonno Brad Anderson. Una caparbietà di stile che lo rendono adatto alla rivisitazione della prestigiosa reinterpretazione stilistica di Batman, diretta da Christopher Nolan, in una trilogia che ha potuto avvalersi di un Joker d'eccezione nelle carismatiche spoglie di Heate Ledger, deceduto dopo le riprese dei Il Cavaliere Oscuro. Altro ruolo di forte caratterizzazione arriva per la più eccellente rivisitazione del ciclo di Terminator, quella creatura bellica nata dalla fantasia di James Cameron e rivalutata dal regista McG nel suo Terminator Salvation, caratterizzando Bale nel ruolo di un attivissimo John Connor degno di tanta attenzione. Stessa sorte per il Nemico Pubblico di Michael Mann, al fianco di Johnny Depp, per assaporare il primo meritato Oscar come miglior attore non protagonista, per l'interpretazione nel film di David O. Russell, The Fighter. Secondo Oscar come attore protagonista per American Hustler – L'apparenza inganna, sempre dello stesso regista, a conferma di un successo ormai consolidato nelle abilità recitative di un divo che non smette mai di rimettere in gioco le proprie forze di attore in costante crescita. Lo troviamo così nel ruolo di Mosè, per mano di Ridley Scott, nell'imponente Exodus – Dei e re, capace di dare linfa ad un energico attore che non smette di credere in un cinema che lo pone sempre ad alti livelli di notorietà, rivalutandosi nei successivi La grande scommessa di Adam McKay e The Promise di Terry George.
Paolo Vannucci

lunedì 20 novembre 2017

DiCinema: la nuova Hollywood

DiCINEMA: ANDREW GARFIELD
Un viaggio nello star system mondiale, per conoscere gli attori e i registi che hanno rinnovato l’ultima generazione di miti in celluloide
Volto prodigio del nuovo cinema, il talento e l'impegno sociale che hanno saputo imporsi da grande protagonista della mecca hollywoodiana, nelle qualità di attore di Andrew Garfield.
Ogni generazione ricerca quelle effimere caratteristiche che modellano l'attore, dall'età adolescenziale fino alla maturità artistica. Ebbene, Andrew Garfield ha saputo rinvigorire la schiera dei nomi che hanno celebrato il grande cinema da protagonisti, senza risparmiare talento e qualità. Nato a Los Angeles e cresciuto in Inghilterra, il giovane Andrew si diploma alla Royal Central School of Speech and Drama di Londra,vincendo, lo stesso anno, il prestigioso Men Theater Award per la commedia teatrale Kes. Seguono una serie di lavori meritevoli, quali Romeo & Giulietta, per la regia di Jacob Murray e Morte di un commesso viaggiatore di Arthur Miller, con la regia di Mike Nichols, al fianco di Philip Seymour Hoffman. Il debutto cinematografico arriva nel 2007, per mano di Robert Redford che lo dirige in Leoni per Agnelli, al fianco di Tom Cruise e Derek Luke. Il primo riconoscimento importante arriva con il premio Bafta per Boy A diretto da John Crowley. Terry Gilliam lo reclama per il suo multicentrico valzer di attori in Parnassus-L'uomo che voleva ingannare il diavolo, recitando al fianco di Heath Ledger e Johnny Depp. Seguono riusciti film di grosso richiamo, quali Non lasciarmi (sentimentale rivisitazione pragmatico-sociale) di Mark Romanek e il primo grosso richiamo di critica e pubblico nel biopic dedicato al creatore di Facebook, The Social Network diretto da David Fincher, che gli vale la nomination al Golden Globe per miglior attore. La grande notorietà di pubblico arriva con l'interpretazione del super eroe più celebrato della Marvel, nel passaggio di testimone ceduto da Tobey MaGuire, per il celebre Peter Parker di The Amazing Spider-Man, nei due episodi diretti da Marc Webb, con al fianco Emma Stone. La carriera di Andrew Garfield comincia la sua prestigiosa ascesa, conoscendo una prima maturità artistica nei ruoli più ambiziosi voluti da Martin Scorsese e Mel Gibson, il primo con Silence e il secondo con La battaglia di Hacksaw Ridge, che gli vale la prima candidatura al premio Oscar per miglior attore protagonista, ripercorrendo la vita di Desmod Doss, primo obiettore di coscienza della storia militare americana decorato con la medaglia al valore. Una celebrazione di attore che lo rimanda all'interpretazione di Robin Cavendish, biopic diretto come opera prima da Andy Serkis, dedicato alla forza morale e al coraggio di un uomo che ha superato le barriere dell'infermità, in Ogni tuo respiro. Decisamente una carriera ancora da impreziosire di celebrazioni al talento, per un giovane attore che ha saputo maturare nelle scelte di un cammino tutto da scoprire.

Paolo Vannucci

giovedì 12 ottobre 2017

DiCinema: la nuova Hollywood

DiCINEMA: GABRIEL BYRNE
Un viaggio nello star system mondiale, per conoscere gli attori e i registi che hanno rinnovato l’ultima generazione di miti in celluloide
Moderazione e carisma, per uno dei volti del cinema internazionale che ha saputo imporsi da grande protagonista nella mecca hollywoodiana, nelle qualità di attore di Gabriel Byrne.

E' raro che un caratterista d'eccezione possa mantenere alto il livello qualitativo di una recitazione che richiede il massimo, senza pretendere quell'attenzione che ti porta alla ribalta di un successo di pubblico senza limiti. Gabriel Byrne è riuscito in questa “umile” impresa. Di salde origini irlandesi e cattoliche, ha alle spalle degli studi di archeologia, prima di frequentare quel teatro che lo porta a debuttare al cinema con il primo successo mondiale in Excalibur di John Boorman, per diventare quel volto ricercato che trova in Ken Russell un ottimo mentore per Gothic. Seguono Giulia e Giulia diretto da Peter Del Monte, per diventare attore di spicco nel Crocevia della morte di Joel Coen. Si consolida così una caratterizzazione di attore che lo pone all'attenzione di un cinema mondiale che richiede sobrietà di stile, senza annullare un'identità flemmatica dei personaggi tipici che continua ad interpretare, passando così da Fuga dal mondo dei sogni di Ralph Bakschi al remake del francese Nikita, Nome in codice: Nina, per partecipare alla corale rivisitazione di un classico diretto da Gillian Armstrong, Piccole Donne, arricchendo la variegata interpretazione dei ruoli con la partecipazione al bianco e nero d'autore di Jim Jarmush, nel Dead Man al fianco di Johnny Depp. Bille August lo vuole per il suo Il senso di Smilla per la neve, al fianco di Julia Ormond, per affiancare un quartetto d'eccezione nel nome di Dumas, per l'imponente La maschera di ferro di Randall Wallace, fiero D'Artagnan alla corte di Leonardo DiCaprio. Ricky Tognazzi lo dirige nel suo Canone inverso, per continuare la sua raffinata scelta di ruoli con Spider di David Cronenberg e La fiera della vanità di Mira Nair. Di rimarchevole importanza rimangono Attacco a Leningrado di Alexander Buravsky, a cui segue The Deadly Game – gioco pericoloso diretto da George Isaac, per assaporare un ciclo vampiresco tornato di moda nel glamour di Vampire Academy di Mark Waters. Una carriera di estrema brillantezza, per un volto velato di malinconia e riservatezza, ma che non ha mai smesso di rinunciare a quella qualità che si chiama successo.
Paolo Vannucci

martedì 5 settembre 2017

DiCinema: la nuova Hollywood

DiCINEMA: JOHN CUSACK
Un viaggio nello star system mondiale, per conoscere gli attori e i registi che hanno rinnovato l’ultima generazione di miti in celluloide
Sobrietà e carisma, per uno dei volti del cinema internazionale che ha saputo imporsi da grande protagonista nella mecca hollywoodiana, nelle qualità di attore di John Cusack.

Ebbene si… avere la faccia da bravo ragazzo ti può aprire le porte di qualsiasi avvenire, almeno quel tanto che basta da dover essere supportato dalle qualità indispensabili per essere un vincente da intenditori. John Cusack è sicuramente quel cavallo di razza a cui tutti possono ambire, visto una famiglia d'arte che ha davvero impreziosito il meglio della commedia adolescenziale sino al dramma da grande blockbuster. Quarto di cinque figli (la sorella Joan ne ha condiviso il successo in ben dieci film), di padre attore e produttore e madre insegnante, la carriera di attore comincia giovanissimo, non ancora ventenne, nella prima apparizione del film diretto da Lewis John Carlino, Class, padroneggiato dalla coppia Rob Lowe e Andrew McCarthy, per continuare a partecipare a quei “sermoni” adolescenziali firmati John Hughes, partendo da Sixteen Candles – Un compleanno da ricordare, per approdare nel Sacco a pelo a tre piazze di Rob Reiner, al fianco di Daphne Zuniga. Quello che riesce a dimostrare è la spontaneità a cui si affianca una fiducia da bravo attore, confermandolo anche in quelle brevi apparizioni che però sanciscono la riuscita di un messaggio, vedi il cameo in Stand by me, sempre di Reiner. Si avvicendano commedie di facili consensi, sorretto dalla mano abile di registi capaci di ottenere il meglio dell'attore, vedi Woody Allen nel suo Pallottole su Broadway, senza tralasciare film di spicco come Rischiose abitudini (di Stephen Frears) per passare al pretenzioso Morti di salute di Alan Parker, al fianco di un collaudato Matthew Broderick. Continuano le felici commedie passando da I perfetti innamorati di Joe Roth, al fianco di Julia Roberts e Catherine Zeta-Jones, a Serendipity – Quando l'amore è magia, diretto da Peter Chelsom. Roland Emmerich lo reclama per il suo imponente 2012, epico dramma sulle sorti di un pianeta oscurato dalla profezia dell'apocalisse, per rivisitare un inedito biopic sulle orme di Edgar A. Poe, nel The Raven diretto da James McTeigue. Un filone che lo vede protagonista rivalutato, dato il successivo Il cacciatore di donne di Scott Walker, per tornare ad impreziosire quel dramma d'autore che l'età più matura lo impone, vedi il riuscito The Butler – Un maggiordomo alla Casa Bianca, diretto da Lee Daniels. Non poteva mancare la chiamata di Spike Lee, che lo dirige in Chi-Raq, per conciliare una carriera attiva fatta di successi che hanno meritatamente impreziosito la bravura di Cusack. 
Paolo Vannucci

lunedì 31 luglio 2017

Dicinema: la nuova Hollywood

DiCINEMA: WINONA RYDER
Un viaggio nello star system mondiale, per conoscere gli attori e i registi che hanno rinnovato l’ultima generazione di miti in celluloide
Sensualità acqua e sapone, per una delle attrici che ha rielaborato il ruolo di primattrice nelle qualità di Winona Ryder.
Essere una primadonna è impresa non da poco, considerando quante bellezze talentuose si possono intercalare per rendere ardua la scelta che tocca inesorabilmente al pubblico e critica. Se esiste una attrice che sembra non abbia avuto problemi a destreggiarsi in un simile ruolo, la nostra Winona è l'eccezione alla regola. Di natali tormentati (il padre di origine ebrea e la madre buddista), deve il proprio nome ad una serie di fortunate coincidenze, visto la contea del Minnesota dalla cui città ne prende il primo nome, e il cantante Mitch Ryder che passava alla radio mentre il proprio agente era al telefono con il padre, mentre voleva sapere il nome con il quale avrebbe debuttato al cinema con Lucas. Una adolescenza turbolenta, per una ragazzina dai tratti androgini rifiutata dalle coetanee, ma destinata a diventare quel bellissimo cigno che tutti conosciamo. I primi passi la vedono labile interprete di commedie di buona calibratura, vedi lo stesso Beetlejuice – Spiritello porcello, originale rielaborazione di un The Rocky horror picture show diretto da Tim Burton. Sempre protagonista con il successivo Schegge di follia di Michael Lehmann, al fianco di un'altra star in ascesa in Christian Slater. Una partecipazione importante al biopic dedicato alla vita irrequieta della rock star Jerry Lee Lewis, Great balls of fire! - Vampate di fuoco, diretto da Jim McBride, con un ambizioso Dennis Quaid nel ruolo dello scatenato musicista, per conoscere il battesimo di un successo tutto in ascesa nel fortunato Edward mani di forbice, romantica fiaba sempre del talentuoso Tim Burton. Da non tralasciare la gemma di Sirene, quasi un autoritratto della propria adolescenza, al fianco di Cher e Christina Ricci, per approdare al grande Kolossal diretto da Francis Ford Coppola, Dracula di Bram Stoker, nel ruolo di Mina. Prima nomination all'Oscar come Miglior attrice non protagonista con L'Età dell'Innocenza di Martin Scorsese, per proseguire con il cinema impegnato di grande risonanza, vedi La casa degli spiriti di Bille August, ritratto di famiglia con un cospicuo gruppo di grandi attori del calibro di Jeremy Irons, Meryl Streep, Glenn Close e Antonio Banderas. Una perla di originalità nel piccolo capolavoro corale diretto da Ben Stiller, Giovani, carini e disoccupati (Reality Bites), al fianco di Ethan Hawke, per ricevere la sua seconda nomination all'oscar come miglior attrice protagonista con Piccole Donne, di Gillian Armstrong. Incursione nel fantasy d'autore, con il terzo episodio della serie, Alien – La clonazione, per assaporare ruoli scomodi con Ragazze interrotte, sulle precarie note del disagio psicologico. Felice ritorno alla commedia di ampio respiro con lo stucchevole dramma diretto da Joan Chen, Autumn in New York, al fianco di Richard Gere, per riassaporare il genere con Ingannevole è il cuore più di ogni cosa, diretto da Asia Argento. Un cameo importante nel prequel di Star Trek di J.J. Abrams, per riassaporare gli echi di un'infanzia vissuta sulla propria pelle con Il Cigno Nero di Darren Aronofsky. Una carriera di meritato successo, oscurata dall'infelice episodio dell'arresto avvenuto nel 2001 per taccheggio (causa la cleptomania, fu trovata mentre rubava abiti del valore di 4mila dollari), con una condanna di tre anni, al pagamento di 10.000 dollari di multe e l'obbligo di un trattamento psichiatrico. Ma la stella di Winona continua a brillare di quello splendore che ha rappresentato al meglio la Generazione X degli anni novanta.
Paolo Vannucci 

venerdì 23 giugno 2017

DiCinema: la nuova Hollywood

DiCINEMA: AL PACINO
 Un viaggio nello star system mondiale, per conoscere gli attori e i registi che hanno rinnovato l’ultima generazione di miti in celluloide
Carisma volitivo e aspra caratterizzazione, per uno dei migliori attori di una generazione di “grandi leoni” del cinema americano, nel talento di Al Pacino.
Quando le origini di un uomo si fondono con il patrimonio emotivo che ogni artista ripone nell’avvalorare una recitazione unica, capace di assorbire il meglio e il peggio di una società che riflette ogni singolo segnale, per essere pura emulazione. Alfredo James Pacino, Al... come lo conosciamo tutti. Quando essere italo americano vuol dire piegarsi al volere di uno stereotipo che ti può marchiare la pelle. Un tatuaggio che è il proprio pane quotidiano, nel mestiere che ambiscono tutti. Lee Strasberg ha creduto in lui, quando la vita lo aveva già provato, abbandonato da un padre (Salvatore Pacino) che non ha mai conosciuto, cresciuto dalla madre (Rosetta Gerardi), claudicante negli studi che abbandona a 17 anni, per assaggiare la vita fatta di lavoro e umiliazione, nel ricongiungersi con le propri origini e vivere in quella Sicilia che lo ha visto prostituirsi. Lui, che ha esordito nella serie televisiva N.Y.P.D.(1968) con un arresto per porto abusivo di arma da fuoco a soli ventun anni. Lui, che ha messo il proprio nome nella saga più celebrativa del cinema americano, per volere di Coppola ne Il Padrino (Corleone, come il paese natale dei nonni materni), per diventare l’attore celebrato che non ha mai smesso di esserlo. Sidney Lumet lo ha diretto in Serpico e Quel pomeriggio di un giorno da cani, mentre Pollack lo ha traghettato nel suo Un Attimo, una Vita (Bobby Deerfield), per definire la tipica commedia plasmata da Arthur Hiller, Papà sei una frana, (pragmatismo ebraico sopra le righe scritta da Israel Orowitz), strappato l’anno successivo da Brian De Palma che lo immola nel suo Scarface (auto celebrazione di un mito), al fianco di Michelle Pfeiffer, voluti anche da Garry Marshall nel suo Paura d’Amare (Frankie and Johnny, 1991), riuscita commedia drammatica tratta da un testo teatrale di Terrence McNally. Hugh Hudson lo dirige in Revolution, spaccato storico americano di fine 700, mentre Harold Becker lo ritratteggia nel riuscito Seduzione Pericolosa, giallo psicologico che lo introduce nell’universo parallelo ricreato da Warren Beatty, nel Dick Tracy devoluto al fumetto, come celebrativa interpretazione d’immagine (fotografia e sceneggiatura ad opera d’arte) e appello di attori (da Dustin Hoffman a Madonna, Paul Sorvino e Dick Van Dyke). L’Oscar meritato arriva con Martin Brest, nel remake di Profumo di Donna di Dino Risi (da un romanzo di Giovanni Arpino, il Buio e il miele), con Chris O’Donnell al fianco di un Pacino in grande stile, ruoli precedentemente interpretati da Vittorio Gassman e Alessandro Momo. Michael Mann lo affianca al proprio ego d’attore, ovvero un Robert De Niro nei rispettivi ruoli di cacciatore e preda (Heat – La Sfida), come dissacratoria rievocazione di un cliché che ha definito l’immagine di entrambi. Misuratosi da regista e interprete, con il testo teatrale di Shakespeare Riccardo III - Un uomo, un re (portato anche in teatro, con successo di critica), Michael Radford lo ripropone, dirigendolo ne Il Mercante di Venezia, vero mattatore nei paradigmi socio-letterari dell’opera stessa. Un Pacino completamente assorbito dai caratteri che sono la nemesi della propria personalità, assuefatto di tanta dimestichezza di mestiere, portandolo a prove di brillante commedia drammatica nel dosato L’Avvocato del Diavolo, di Taylor Hackford, con un Keanu Reeves in grado di sostenere l’analoga spalla di altrettanta valenza generazionale, vedi Johnny Depp in Donnie Brasco (tratto da una biografia di Joseph D. Pistone), nuovamente alle prese con mafia e legge, sulle orme del Carlito’s Way di Brian De Palma. Una carriera decisamente costellata di successi, motivata da scelte che hanno sempre riflesso la propria realtà di attore, tra luci e ombre di un privato che non ha mai rinnegato l’autenticità di un simile mestiere... se teniamo conto che ha detto no a George Lucas, come Ian Solo di Guerre Stellari, forse imboccando una carriera e un successo che difficilmente riusciamo a dissociare dal Pacino che noi tutti vogliamo ammirare. 
Paolo Vannucci 


venerdì 26 maggio 2017

DiCinema: la nuova Hollywood

DiCINEMA: VALERIA GOLINO
Un viaggio nello star system mondiale, per conoscere gli attori e i registi che hanno rinnovato l’ultima generazione di miti in celluloide
Dolcezza mediterranea e carisma, per uno dei volti del cinema italiano che ha saputo imporsi da grande protagonista nella mecca hollywoodiana, nelle qualità di attrice di Valeria Golino.
Di certo il cinema italiano ha sempre portato un esempio di qualità e professionalità invidiato dai più grandi cineasti mondiali di ogni tempo. Se le qualità registiche sono quelle scie prioritarie che fanno strada alla popolarità, il mestiere dell'attore non è certo secondario all'importanza che riveste un tale ruolo nella produzione cinematografica. Valeria Golino è, senza dubbio, una delle attrici che ha fatto della propria determinazione di attrice, un monito di crescita professionale che l'ha portata ai più alti livelli di celebrità non solo “nazionalpopolare”. Di natali partenopei (è nata a Napoli, classe '65), ha ereditato le doti artistiche dal padre italiano e dalla madre pittrice di origine greche, francesi ed egiziane. Un battesimo da modella ad Atene, la scoperta del cinema avviene per mano di Lina Wertmüller nel film Scherzo del destino in agguato dietro l'angolo come un brigante da strada (1983), a cui seguono film minori quali Piccoli fuochi di Peter Del Monte e Storia d' Amore di Citto Maselli, per il quale riceve la Coppa Volpi alla 43° Mostra del cinema di Venezia. Ma l'ascesa al grande cinema americano arriva con le prime candidature ai ruoli di Pretty Woman e Linea Mortale, entrambi assegnati a Julia Roberts. Questo non ha di certo scoraggiato la nostra Valeria, che si è vista obbligata a rinunciare al ruolo principale affidatole da James Cameron in True Lies. Tutto questo come preambolo a quel grande esordio accanto a Dustin Hoffman e Tom Cruise, Rain Man diretto da Barry Levinson. Seguono una serie di importanti partecipazioni in film quali Paura e Amore di Margareth von Trotta e Lupo Solitario di Sean Penn. La commedia satirica la vuole protagonista nei due episodi di Hot Shots! al fianco di Charlie Sheen, mentre il cinema italiano la rivuole, nelle sapienti mani di Gabriele Salvatores che la dirige in Puerto Escondido. Incursione di prim'ordine nel film L'Amata immortale di Bernard Rose (biopic sul compositore tedesco Beethoven), per avvalorare i successivi Via da Las Vegas di Mike Figgis e Four Rooms di Quentin Tarantino. Ancora grande cinema da blockbuster per Fuga da Los Angeles di John Carpenter e Frida di Julie Taymor. Nel 2006 arriva il David di Donatello per la miglior attrice non protagonista per La guerra di Mario di Antonio Capuano. Il debutto alla regia arriva con il film Miele, per il quale ottiene il Nastro d'Argento al miglior regista esordiente. David di Donatello per la miglior attrice non protagonista per il film Il Capitale umano di Paolo Virzì e nel 2014 arriva nelle sale Il Ragazzo Invisibile di Gabriele Salvatores, riuscito esperimento di un cinema italiano che strizza l'occhio alle grandi graphic novel americane, ben accolto da pubblico e critica. Seconda Coppa Volpi alla 72° Mostra del Cinema di Venezia per il film Per Amor Vostro di Giuseppe M. Gaudino, a coronare una carriera di attrice e regista di tutto rispetto, nel buon nome di un cinema che parla oltre i confini di un prodotto non solo per amatori.
Paolo Vannucci

lunedì 24 aprile 2017

DiCinema: la nuova Hollywood

DiCINEMA: JEREMY IRONS
Un viaggio nello star system mondiale, per conoscere gli attori e i registi che hanno rinnovato l’ultima generazione di miti in celluloide
Autorevolezza e cinismo, per uno dei volti del cinema internazionale che ha saputo imporsi da grande protagonista nella mecca hollywoodiana, nelle qualità di attore di Jeremy Irons.

Quando i tratti somatici di un attore sono quella garanzia di serietà che si presta ad assimilare il meglio di quella cernita di ruoli che caratterizzano il meglio della carriera di ogni artista. Un volto scolpito nel duro marmo, con quelle striature che spezzano la routine fatta di buonismo a tutti i costi. Per quel tipo di bravura ci vuole tanta solidità di carattere, a cominciare da quella decisione di abbandonare una carriera di musicista (ama la batteria) per optare per la recitazione iscrivendosi alla Old Vic Theatre School di Bristol. Di natali inglesi (Cowed, 19 settembre 1948), di padre ingegnere e madre casalinga, debutta nella compagnia della scuola per emergere trasferendosi a Londra, dove si fa conoscere per i successivi ruoli televisivi interpretando Giovanni Battista nel musical Godspell. E' grazie alla Royal Shakespeare Company che debutta a Broadway, accanto a Glenn Close, vincendo il Tony Award per La cosa reale di Tom Stoppard. La carriera cinematografica inizia con La donna del tenente francese, diretto da Karel Reisz, accanto a Meryl Streep, che lo affiancherà qualche anno più tardi per La casa degli spiriti, di Bille August. Iniziano una serie di ruoli di prestigio, passando dall'epico Mission di Roland Joffé, interpretato in coppia con Robert De Niro, al claustrofobico Inseparabili di David Cronenberg. L'ambito Oscar come Miglior attore protagonista arriva con Il mistero Von Bulow, diretto da Barbet Shroeder. Seguono Il danno di Louis Malle, partner di Juliette Binoche, per approdare alla commedia drammatica d'azione con Die Hard – Duri a morire. Bernardo Bertolucci lo pretende per quel delizioso ruolo di intellettuale malato nei suoi desideri d'amore antico, nel riuscito Io ballo da sola, per riconfermare quella dedizione ai ruoli di solido impegno nel Lolita di Adrian Lyne, al fianco di Melanie Griffith. Altro ruolo nel kolossal storico La maschera di ferro di Randall Wallace, nel ruolo di Aramis, per replicare il genere nel Le Crociate di Ridley Scott. Ottimi disimpegni nel fantasy Dungeons & Dragons (di Courtney Solomon) e The Time Machine di Simon Wells. Altro ruolo importante per il Casanova di Lasse Hallström, senza tralasciare l'epico teatrale nel Il Mercante di Venezia di Michael Radford. Insolita intrusione nella felice commedia disimpegnata partecipando a La Pantera Rosa 2 di Harald Zwart, per arricchire i ruoli devoluti alla generazione X, cominciando da Beautiful Creatures – La sedicesima Luna, diretto da Richard LaGravenese, per passare a Batman v Superman – Dawn of Justice e Justice League di Zack Snyder, senza tralasciare il tanto sospirato Assassin's Creed di Justin Kurzel. Da non tralasciare quell'indimenticabile cameo di doppiaggio per la Disney, nel ruolo di Scar per Il Re Leone, affiancando le produzioni televisive che hanno arricchito il potenziale recitativo, passando da Low & Order – Unità Vittime speciali a I Borgia
Paolo Vannucci

mercoledì 22 marzo 2017

DiCinema: la nuova Hollywood

DiCINEMA: SCARLETT JOHANSSON
Un viaggio nello star system mondiale, per conoscere gli attori e i registi che hanno rinnovato l’ultima generazione di miti in celluloide
Sensualità e charme in un viso d'angelo, nelle camaleontiche qualità di attrice nel nome di Scarlett Johansson, ultima grande sex symbol di Hollywood.

A volte il destino di una attrice può sembrare proprio lo specchio di quel brutto anatroccolo capace di tramutarsi in quel bellissimo cigno ammirato da tutti. Se consideriamo il debutto tiepido di una trepidante adolescente senza forme nel drammatico L'uomo che sussurrava ai cavalli di Robert Redford, di strada Scarlett ne ha fatta parecchia, passando dagli spot in tenere età per approdare al cinema con forti ambizioni, grazie alla pièce teatrale Sofistry accanto ad Ethan Hawke. Figlia di Karsten Johansson (architetto) e Melanie Sloan (attrice e produttrice), i primi passi nella mecca del cinema portano i nomi di Genitori cercasi e Mamma, ho preso il morbillo, per confermare doti più mature di attrice in Ghost World di Terry Zwigoff e In fuga per la libertà di Eva Gàrdos, ricevendo le prime candidature al Golden globe con Lost in Translation di Sofia Coppola e La ragazza con l'orecchino di Perla di Peter Webber. La strada del successo comincia ad essere tutta in ascesa, passando dai riuscitissimi In Good Company (al fianco di Topher Grace e Dennis Quaid) e Match Point diretta dalla mano sapiente di un inedito Woody Allen. Ne diventa ovviamente al sua musa nei successivi Scoop e Vicky Cristina Barcelona, senza tralasciare dei picchi di celebrità nell'inedito The Island (rivisitazione del classico La fuga di Logan) di Michael Bay, per passarare a Black Dahlia di Brian De Palma a L'altra donna del Re di Justin Cadwick. La notorietà di un vasto pubblico arriva con le incarnazioni da super eroina nelle vesti de la Vedova Nera nei vari Avengers e l'incursione nell'Iron Man 2 di Jon Favreau sino ai due capitoli di Captain America (The Winter Soldier e Civil War). Ruoli di azione che riescono a confermare una sensualità di attrice che ben si abbina alla dinamicità di un cinema che cerca, nella fascia dei più giovanissimi, quella stabilità di consensi che determinano la qualità di un cinema in costante crescita. Caratteristiche confermate dall'abilità di un regista come Luc Besson, che l'ha diretta nel drammatico fantasy Lucy. Una carriera divisa tra la musica e la moda, incidendo gli album Anywhere I Lay My Head e Break Up, prestando poi il suo volto alle varie campagne di moda di Louis Vuitton, Calvin Klein e Dolce e Gabbana, con la clip Street of Dreams diretta da Martin Scorsese.
Paolo Vannucci

martedì 21 febbraio 2017

DiCinema: la nuova Hollywood

DiCINEMA: LILY COLLINS
Un viaggio nello star system mondiale, per conoscere gli attori e i registi che hanno rinnovato l’ultima generazione di miti in celluloide
Sensualità e romanticismo, per una delle attrici che ha rielaborato il ruolo di primattrice nelle qualità di Lily Collins.
Pensate che essere figli di rock star voglia dire avere una strada facile per puntare al ruolo di protagonista nel panorama competitivo di Hollywood? Sicuramente ne sa qualcosa la collaudata Liv Tyler, figlia del leader degli Aerosmith, che si è fatta strada tra partecipazioni ai videoclip per diventare protagonista d'eccezione nella trilogia dell'Anello, oltre al famoso apocalittico Armageddon di Michael Bay (con la hit musicale firmata dall'arcinoto padre). Stessa sorte sembra appartenere alla nostra Lily Collins, figlia del famoso batterista dei Genesis, Phil. Ambiziosa e talentuosa sin nei primi anni dell'infanzia, si appassiona al teatro alla precoce età di cinque primavere, per passare ad una adolescenza che la vede rivestirsi di uno spiccato senso del giornalismo, tanto da scrivere per testate di livello internazionale quali Teen Vogue e il Los Angeles Times, per ottenere la specializzazione in giornalismo televisivo alla University of Southern California. Viene notata come seducente testimonial del patinato mondo glamour della moda, posando per Chanel e Glamour, per assorbire quel mondo del cinema che la mette in luce con la partecipazione a The Blind Side di John Lee Hancock. Seguono velate prove di attrice in Priest e Abduction – Riprenditi la tua vita, quest'ultimo diretto da John Singleton e recitato al fianco di Taylor Lautner. Il vero successo di pubblico arriva con la rivisitazione del classico di Biancaneve, nel Mirror Mirror di Tarsem Singh, al fianco di una perfida Julia Roberts nel ruolo della matrigna. Un viso dolce che si ripiega facilmente nella commedia adolescenziale, ma che punta in alto con ambizione e intelligenza, visto le apparizioni riuscite in Stuck in Love, diretto da Josh Boone e The English Teacher, di Craig Zisk. La conferma di una riuscita alchimia di sentimento e commedia arriva con Scrivimi ancora, diretto da Christian Ditter, al fianco di Sam Claflin, ma il grande blockbuster di pubblico si cela dietro la scelta per il ruolo della giovanissima quindicenne Clary, nell'adattamento della trilogia scritta da Cassandra Clare, Shadowhunters – Città di ossa, per quel filone aperto dal fortunato ciclo vampiresco di Twilight, dal cui cast riemerge Jamie Bower, al suo fianco dopo il ruolo di Caius dei Volturi. La moda la reclama come volto per Lancôme, mentre non rinuncia ai ruoli di buon cinema per i successivi Rules Don't Apply, diretto da Warren Beatty, To the Bone di Marti Noxon e Okja di Bong Joon Ho, nel cui cast si uniscono Jake Gyllenhaal e Tilda Swinton, in uscita nel 2017.

Paolo Vannucci 

domenica 22 gennaio 2017

DiCinema: la nuova Hollywood

Un viaggio nello star system mondiale, per conoscere gli attori e i registi che hanno rinnovato l’ultima generazione di miti in celluloide
Il Divo camaleontico di tutti i tempi. Vera maschera d’attore, per uno dei volti che hanno celebrato il cinema mondiale, nel carisma di Robert De Niro.

DiCINEMA: ROBERT De NIRO
Ogni artista, è risaputo, mette se stesso in ogni sua opera, che sia pittura, musica, letteratura o, come in questo caso, recitazione. Se poi l’artista deve il proprio talento a quella caparbietà caratterizzata dalla propria etnia, portata con quella fierezza che volentieri rinvigorisce di autenticità un cliché annaffiato dalla stessa veridicità anacronistica che determina in molti casi la sceneggiatura... , ancora meglio. In questo caso, gli auspici non potevano essere migliori, considerando i natali devoluti da una famiglia baciata dal sacro fuoco dell’arte, nel padre Robert pittore e la madre Virginia poetessa e pittrice. Robert De Niro (Di Niro, il cognome originale dei nonni paterni, emigrati nel 1890 da Ferrazzano), con gli studi superiori abbracciati dalla Little Red School House dove si laurea, per percorrere quella strada di attore che lo vede sorretto da quei pigmalioni che credono in quella aspra caratterizzazione richiesta dai primi successi, dal Taxi Driver di Martin Scorsese (vero alter ego dell’attore) al giovane Corleone (primo Oscar come attore non protagonista), nel marchio DOP della saga diretta da un altro italo americano d'élite, Francis Ford Coppola nel suo Il Padrino. Ma il primo a credere in De Niro è Brian De Palma, che lo dirige prima in Ciao America!, influenzando la propria prova registica in Bronx, vent’anni dopo, ricucendo quella Little Italy celebrativa da ogni convenevole di parte, per proseguire con lo stesso Elia Kazan, padre dell’Actors Studio, che lo dirige in Gli Ultimi fuochi, apripista di un genere proseguito l’anno successivo dallo stesso Scorsese con l’analogo New York New York. Bernardo Bertolucci lo vuole insieme a Gèrard Depardieu, per quell’ampio ritratto storico di classe, battezzato Novecento, stessa operazione fatta da Sergio Leone per il suo pretenzioso C’era una volta in America (sulla falsariga del miglior Coppola), per arrivare alla celebrazione del proprio culto in due ampi successi, nel Il Cacciatore di Michael Cimino (primo ruolo importante per Meryl Streep, al fianco di Savage e Walken) e lo splendido Toro Scatenato di Scorsese, biopic del pugile Jack La Motta (il toro del Bronx), magistralmente fotografato da Michael Chapman, che gli vale l’Oscar per la miglior interpretazione. Di lodevole impegno spiccano Mission di Roland Joffè (al fianco di Jeremy Irons) e la prova in salsa black comedy di Alan Parker, Angel Heart, nei panni di Lucifero nel recriminare la propria anima ad un incauto Mickey Rourke in salsa voo-doo. La carriera di De Niro è un susseguirsi di ruoli di primaria importanza, mantenendo sempre alto il margine dissacratorio della commedia facile, passando dai restyling d’autore per Non siamo angeli (Sean Penn e Demy Moore, nei ruoli che furono di Bogart e Ustinov) e Cape Fear (insieme a Nick Nolte), per lievitare la facile risata nei recenti Ti presento i mei (in coppia con Ben Stiller), Un Boss sotto stress e la recente parentesi italiana diretta da Veronesi, in Manuale d’amore 3, con una Monica Bellucci in burrose forme mediterranee. Tutto a contornare un mostro sacro di attore che ha saputo caratterizzare i propri personaggi, sino al punto di autenticarli con le proprie caratteristiche, vedi la trasformazione avvenuta per mano di Kenneth Brangah, nell’omonimo Frankeinstein di Mary Shelley. Di non meno importanza rimangono i confronti diretti con i ruoli che lo hanno consacrato, vedi Il grande match, diretto da Peter Segal, nel rapporto con un rivale pugilistico di tutto rispetto in Sylvester Stallone, per passare a Lo stagista inaspettato (di Nancy Meyers) e lo stesso Nonno scatenato di Dan Mazer.
Paolo Vannucci